L'imbecillità è una cosa seria by Maurizio Ferraris

L'imbecillità è una cosa seria by Maurizio Ferraris

autore:Maurizio , Ferraris [Ferraris, Maurizio]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Filosofia, Contrappunti
ISBN: 9788815329523
editore: Societa editrice il Mulino Spa
pubblicato: 2016-09-14T22:00:00+00:00


«Quel est ce roi des cons?»

Si è poi visto che non è andata così, e che solo un imbecille poteva pensare che per vincere basta essere dei fanatici. Quando a Sigmaringen, nel dicembre 1944, Céline ascolta Léon Degrelle che pontifica sulla necessità e la possibilità di rovesciare le sorti della guerra, che altro poteva dire se non «Quel est ce roi des cons qui ne fera même pas un beau pendu avec sa gueule de Jean-foutre?».

Al di sopra delle due categorie apparentemente fondamentali del politico, ossia l’amico e il nemico, si deve ipotizzare un trascendentale (nel senso kantiano della condizione di possibilità e in quello scolastico della trasversalità e onnipresenza), cioè appunto la dea imbecillità, che, ben più che l’astuzia della ragione, esercita la sua signoria mondana. Quale astuzia della ragione può aver spinto gli abitanti dell’Isola di Pasqua ad abbattere tutti gli alberi rendendo invivibile il loro ambiente di vita? Era o non era imbecillità quella di Valente che volle attaccare i goti senza aspettare i rinforzi?[4] E cosa ha spinto i tedeschi radunati nel palazzo dello sport di Berlino a inneggiare con entusiasmo alla guerra totale, ossia all’autodistruzione?[5]

Si è detto che era godimento[6], ma è un eroico tentativo di dar senso al non-senso, e il primo ad accorgersene è stato proprio Goebbels: «Questa è l’ora dell’idiozia! Se avessi detto a quella gente: buttatevi dal terzo piano del Columbushaus, avrebbero fatto anche quello!»[7]. La stessa idiozia che ritroviamo in coloro – rappresentanti dell’umano in senso eminente – che dopo aver applaudito Mussolini ne ingiuriano il corpo appeso a Piazzale Loreto. Quella che impropriamente si chiama «canaglia» è generalmente, e più esattamente, una banda di imbecilli, e non si capisce perché chiamarli altrimenti. Stando così le cose, il vero strumento, in positivo e in negativo, della technê basilikê, dell’arte regia e politica, è l’imbecillità – e se ne è affetto anche il supposto depositario dell’arte allora sono davvero guai.

Il tema ci costringe a tornare all’imbecille delle Prealpi. Anche in ambito politico la risposta alla domanda «può un filosofo essere imbecille?», la risposta è, senza esitazione, «yes, he can». Ma, anche qui, dentro al palazzo dello sport o lontano da esso nello spazio e nel tempo, non si è mai imbecilli da soli, ci vuole un contesto. Infatti, come si spiega che Heidegger abbia realizzato – come una sorta di Lili Marleen speculativa, e senza muovere un dito – la singolare operazione di traghettare nella sinistra postmoderna parole d’ordine, termini e concetti che appartenevano alla visione del mondo nazista? Come si spiega che il massimo successo di quella che un contemporaneo, Lévinas, definiva «la filosofia dell’hitlerismo» abbia avuto luogo a sinistra e non a destra, e dopo la guerra? Il primo a esserne stupito è stato forse proprio Heidegger. Pare infatti che avanti negli anni Heidegger avesse confidato a un assistente «non ho ancora tirato fuori i gatti dal sacco» (die Katze noch gar nicht aus dem Sack gelassen). Il detto si lega a un altro modo di dire piuttosto diffuso



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